- Cimitero ebraico di San Vito al Tagliamento
- Luogo: San Vito al Tagliamento - Friuli-Venezia Giulia
- Descrizione:
Dell’antico cimitero ebraico di San Vito al Tagliamento è pervenuta solo una pietra sepolcrale, dedicata al medico Shemuel Romanin, che fu sottratta dal terreno e murata capovolta presso un’abitazione privata nella frazione di Savorgnano. Il nucleo ebraico sanvitese utilizzò, fin dalla sua origine, il cimitero israelitico di Portogruaro ma, dalla seconda metà del XVII secolo, data la mancanza di spazio per le sepolture in quel sito, avanzò la proposta al Consiglio di istituirne uno in città. L’istanza fu approvata e si diede in concessione un appezzamento di terra nel bosco che la famiglia Romanin aveva in affitto: il Bosco della Man di Ferro e delle Code. Il cimitero fu utilizzato fin quasi alla fine del XVIII secolo, periodo che segnò il termine della permanenza ebraica in città. Conclusasi la linea ereditaria dei Romanin, la proprietà dell’area d’inumazione passò prima al Comune di San Vito e poi, nel 1851, a Vittorio Vial. All’inizio del XX secolo il cimitero abbandonato apparteneva all’Istituto Agrario Falcon-Vial e, solo di recente, l’area è stata acquistata dalla Provincia di Pordenone ed è stata riconosciuta come “Antico Cimitero Ebraico – Biotopo Naturale”.
- Bibliografia:
– P.C. Ioly Zorattini, M. Perani, A. Spagnuolo (curr.), I cimiteri ebraici del Friuli. Cividale, Udine, San Daniele, San Vito al Tagliamento, Corpus Epitaphiorum Hebraicorum Italiae, 6, Giuntina-Deputazione di Storia Patria per il Friuli, Firenze 2018.
– A. Morpurgo, Il cimitero ebraico in Italia, Quodlibet, Macerata 2012, pp. 207-208, nota 40.
Schede correlate:
- Loggia Comunale di Asolo
- Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli
- Cimitero ebraico di Conegliano
- Cimitero di Giavera del Montello
- Cimitero ebraico di San Daniele del Friuli
- Cimitero di Tezze di Piave
- Ca’ da Noal e reparto israelitico del cimitero di Treviso
- Reparto israelitico del cimitero di Udine
- Cimitero ebraico di Vittorio Veneto – Ceneda
In lingua ebraica il termine “cimitero” può essere espresso in svariati modi: Bet ha-Chayyim (casa della vita o casa dei viventi), Bet ha-‘Olam (casa dell’eternità), nella forma yiddish Gut Ort (buon posto) e nel più semplice Bet ha-Qevarot (casa delle sepolture).
Lo spazio cimiteriale è considerato essenziale per qualsiasi insediamento ebraico: lo si ritrova quasi sempre all’interno delle condotte cittadine in cui, insieme ad alcune concessioni, si forniva l’autorizzazione a prendere in affitto o acquistare un appezzamento di terreno da adibire a luogo di inumazione. Il diritto ad una buona sepoltura si concretizzava così in uno spazio collocato solitamente extra muros, fuori dagli antichi confini cittadini, in terre incolte e prive di recinzioni. Solo alcuni però dei numerosi cimiteri ebraici istituiti in Italia tra il Medioevo e l’Età Moderna sono giunti fino ad oggi: se ne calcolano attualmente più di cento, una cifra che tiene conto dei terreni autonomi, delle singole sezioni separate, di quelli in funzione e in stato di abbandono.
Ad un’analisi attenta il cimitero ebraico può essere visto, oltre che come esclusivo luogo della memoria, anche come un ben più complesso e ricco contenitore di informazioni di diversa natura. L’ubicazione, la storia e l’espansione di un terreno sepolcrale sono elementi che rispecchiano l’evoluzione della Comunità ebraica che ne ha usufruito nel corso del tempo. Un prezioso strumento di studio è rappresentato dalle pietre sepolcrali, particolari beni in cui convivono un aspetto estetico ed uno contenutistico.
Essendo primariamente dei manufatti, le matzevot sono correlate a un contesto geografico di produzione ben preciso, pertanto le loro forme – centinata semplice, cuspidata, ogivale, a edicola, a lastra tombale, a sarcofago, a cippo – e le loro decorazioni – a motivi geometrici o perlopiù fitomorfi – sono influenzate maggiormente, più che da un gusto estetico personale o familiare, dalle tendenze artistiche in voga nel periodo in cui esse furono prodotte. Il tutto era senza dubbio subordinato al tenore sociale e alla disponibilità economica del committente. Le più pregevoli possono inoltre contenere, solitamente in alto al centro, lo stemma gentilizio della famiglia di appartenenza, un ulteriore carattere che conferisce alla lapide ebraica una piena dignità artistica.
Elemento imprescindibile della stele funeraria è l’epitaffio. Il testo inciso infatti, oltre ad un indubbio valore letterario, costituito dall’epigrafe contenente spesso citazioni bibliche, elaborate abbreviazioni, contorti acronimi, brevi narrazioni sulla morte del defunto, e poemi che ne esaltavano i pregi ritmati in schemi metrici ed eleganti rime, possiede anche un’intrinseca ricchezza documentaria. Affiancata ad una sezione in poesia, dove la voce narrante può essere impersonata da tre diversi attori – la lapide, il morto o un esterno –, vi è la parte in prosa, in cui l’autore dell’epitaffio declina le generalità del trapassato. Ciò può fornire quindi un valido supporto a indagini sociali, demografiche, prosopografiche, culturali e storiche riguardanti il defunto stesso, il suo nucleo familiare o la Comunità di origine e di appartenenza.